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    Commemorazione delle vittime del 17 febbraio: così si corre il rischio di ucciderle una seconda volta

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    Qualche ora fa abbiamo pubblicato una riflessione scritta da una cittadina gonnese, nel nostro articolo “17 febbraio 1943: una ricorrenza tragica proposta dal Comune come vetrina per promuovere i prodotti locali”. Probabilmente la lettera sarebbe stata sufficiente, ma più leggiamo il documento elaborato dal Comune di Gonnosfanadiga (si può scaricare da qui) e più risulta difficile tacere.

    Commenteremo capoverso dopo capoverso l’invito alle attività produttive e alle associazioni per spiegare perché riteniamo che sia stato un gravissimo errore pubblicarlo e proporlo, nella speranza che ci sia il tempo per fare un doveroso passo indietro.

    Iniziamo dall’intestazione ufficiale, con tanto di diapositiva dei bombardieri americani. Bene.

    Subito salta all’occhio del lettore come vengano “accorpate” le ricorrenze del bombardamento e della morte del Caporal Maggiore Giovanni Leccis. E qui anche chi non è gonnese fa il primo salto sulla sedia. Si vuole mettere sullo stesso piano e nella stessa ricorrenza chi ha subito un bombardamento… e chi le bombe le tirava, ma in Libia.

    Per quanto sia lecito che la figura di Giovanni Leccis (e la sua morte) possa essere ricordata nel suo paese (per chi non conoscesse la vicenda: https://www.quirinale.it/onorificenze/insigniti/45517) possiamo sicuramente discutere sull’opportunità, nel 2023, di celebrare le velleità colonialistiche di Mussolini e del regime fascista, ma soprattutto quella di “abbinare” la commemorazione dei caduti del 17 febbraio 1943 con quella di un militare caduto sul fronte libico.

    E non si vuole di certo dire che Giovanni Leccis non meriti di essere commemorato come uomo che credeva fermamente nella Patria (per quanto la Patria lo costringesse a combattere una guerra dalla parte dei regimi nazi-fascisti) al punto di sacrificare la sua stessa vita. Il punto è che sarebbe stato più consono scegliere una data differente.

    Ma andiamo avanti.

    E qui arriviamo al secondo grande punto interrogativo. La banda musicale.

    Era davvero necessario chiamare la banda della Brigata Sassari quando a Gonnosfanadiga è presente una banda locale con una storia centenaria? Probabilmente – ma siamo nel campo delle ipotesi – durante la settimana è più complicato organizzare il concerto di una banda locale, composta spesso da studenti e lavoratori, rispetto alla disponibilità di una banda militare. Però resta un vero peccato non riuscire a coinvolgere tutte le associazioni locali, alla luce della “richiesta di collaborazione” auspicata nel documento in esame.

    Ma se queste domande possono essere tacciate di becero campanilismo, è quando si parla di “ospitalità” e di “convivio di saluto” che inizia la parte inequivocabilmente tragicomica. Leggiamo.

    Siamo passati di punto in bianco dalla tragedia alla sagra del pane o delle olive? Una commemorazione di eventi tragici che si trasforma in una vetrina espositiva con “sicuro ritorno in termini di pubblicità e visibilità”. Seriamente?

    L’Amministrazione ha elaborato un progetto ben preciso (con qualche errorino con l’inglese su cui decidiamo di soprassedere: in questo caso è la sostanza che conta, più della forma) e lo ha messo nero su bianco. Leggiamo ancora.

    Quindi, se abbiamo capito bene, i commercianti dovrebbero organizzare stand in cui offrire da bere e mangiare gratuitamente alla Brigata Sassari e agli altri invitati. Lo scopo è “unicamente quello di onorare i nostri morti e far conoscere e apprezzare i prodotti di un paese”: le due cose, nella stessa frase, stridono in maniera irrimediabile.

    Sorge spontaneo un dubbio, inoltre: le attività che parteciperanno saranno rimborsate dal Comune oppure dovranno mettere tutto di tasca loro? Perché in questo caso assume ancora più forza il concetto di “pagamento in visibilità” che ormai è stato messo alla berlina da anni, soprattutto sui social network che vorrebbero essere utilizzati come vetrina per l’evento.

    Ma andiamo ancora avanti.

    L’invito si chiude così, con una richiesta di manifestare la disponibilità alla collaborazione, in attesa di un generoso ringraziamento a conclusione dell’evento (indizio del fatto che forse, sul pagamento in visibilità, la prima impressione era corretta).

    Ora non sappiamo quanti commercianti abbiano aderito, ma data la mole di critiche per una commemorazione solenne che rischia di trasformarsi nella sagra della porchetta, pensiamo che sarebbe auspicabile una “ritirata strategica” (per restare in tema militare) da parte dell’Amministrazione Comunale. Sono troppi gli errori in una lettera – per quanto sicuramente scritta in buona fede – perché si possa rimediare in corso d’opera o correggere il tiro.

    Non occorre chissà quale ammenda o passo indietro (del resto, le dimissioni sono ormai una chimera a ogni livello), e non c’è necessità che diventi una questione politica. Si tratta semplicemente di umanità e di mostrare rispetto per chi nel 1943 ha perso una parte importante della propria famiglia, per non correre il rischio di uccidere nuovamente le 118 persone morte nel bombardamento di 80 anni fa.

    Per questo basterebbero anche quattro semplici parole: “Scusate, abbiamo sbagliato tutto”. E pace fatta.

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